Thinking

#leanuxnight

Lo scorso venerdì sera abbiamo ospitato in GNV&Partners la prima #leanuxnight. L'idea è nata a seguito del post di Ilaria "Cercando il metodo giusto per tracciare il valore di design consegnato", che ha generato un dibattito piuttosto interessante sul suo blog. Ma i commenti di un blog post a volte sono uno spazio troppo piccolo per un confronto efficace. Perché non invitare altre persone qui in ufficio, passare una serata assieme e affrontare questi temi?
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Scritto da
Luca Scarpa
Ilaria parla ad un gruppo di persone

Come ho detto anche introducendo la serata della #leanuxnight, quest'anno è stato ricco di cambiamenti per GNV&Partners (ne abbiamo raccontato qui, qui e qui), l'ultimo dei quali è stato il trasferimento in un nuovo ufficio (di vi cui racconteremo presto…). 

Organizzare la #leanuxnight è stata anche l'occasione di invitare altri designer e frontendisti nel nuovo ufficio e di inaugurare questo nuovo spazio, così importante per noi e così simbolico dell'evoluzione che stiamo affrontando.

#leanuxnight 01
Abbiamo scelto di invitare solo un piccolo numero di professionisti fortemente orientati al design per avere un punto di vista nuovo e neutrale rispetto ai metodi e agli strumenti che stiamo usando noi oggi, e per favorire una discussione aperta ed efficace, che non è facile né iniziare né gestire in gruppi troppo ampi.

Jacopo e Davide, che sono stati i nostri coach per l'intero weekend hanno facilitato il dibattito.

Jacopo Romei e Davide 'Folletto' Casali

Dal come al perché

La serata si è aperta con l'introduzione dei temi del post di Ilaria, e degli interrogativi circa quale sia il metodo corretto per tracciare il valore del design in termini di User Stories, piuttosto che le modalità con cui gestire fasi del design (ad esempio l'esplorazione, o gli user test) che sono necessariamente di sistema e difficilmente riducibili e scomponibili in unità tracciabili come le User Stories.

In breve però la discussione ha cambiato livello: dal come tracciare il valore del design siamo passati a domandarci quale sia il valore che attribuiamo al design, e più in generale al nostro lavoro, e alla difficoltà di comunicarlo al cliente e di farlo riconoscere dal cliente stesso.

Il problema di relazione con il cliente, in fondo è il più sentito da tutti, freelancer o aziende che siamo.

Abbiamo tutti paura

Ad un certo punto Davide ha preso il pennarello e disegnato sulla lavagna un omino spaventato: "La paura. Tutto gira attorno a questo."
Tanto semplice quanto dirompente.

paura

Il cliente ha paura di non raggiungere i propri obiettivi, ha paura di fallire il compito che gli è stato assegnato, di fare la scelta sbagliata per la propria società, di investire male il proprio denaro.
Deadline, contratti, autorità, negoziati sono gli strumenti con cui cerca di gestire questa paura, di avere controllo (o quanto meno l'idea del controllo) del progetto e del fornitore.

E noi abbiamo altrettanta paura. Paura di perdere il progetto e il cliente, di non venir pagati, di impegnarci in deadline che temiamo di non riuscire a rispettare, di negoziare, di porci alla pari, di produrre sprechi, di prenderci rischi, di affrontare la complessità, paura che il valore del nostro lavoro non venga compreso.
E anche noi ci aggrappiamo ai nostri strumenti, siano essi contratti, oppure metodi che diventano formule e dogmi, oppure i nostri libri, la nostra conoscenza e il nostro lessico che crea barriere e che ci dà l'illusione di ribaltare una sorta di status intellettuale verso i nostri clienti (che infatti non manchiamo mai di dipingere come quelli "che non capiscono").

Spesso abbiamo noi per primi un bias non indifferente nei confronti dei clienti, che pone esso stesso le basi per l'inefficacia della relazione.
Se sono sicuro in partenza che il cliente non capirà il valore del mio lavoro, la mia comunicazione sarà difensiva, tortuosa, non del tutto aperta, con il risultato che realmente il mio cliente non capirà.

In teoria è semplice...

Il linguaggio è uno strumento potente e beffardo. Sapere definire e dare il nome ad una cosa non significa capire quella cosa, o saper fare quella cosa, o avere controllo su quella cosa.
Saper compilare una Empathy Map non significa saper parlare al nostro cliente con il giusto registro e aiutarlo davvero a risolvere il proprio problema.
Tra teoria e prassi c'è una gap che non sempre siamo in grado di colmare. C'è quell'ultimo passo da fare che ci separa dal saper gestire con efficacia le relazioni umane prima dei progetti.

La maggior parte del lavoro che ci troviamo a fare ogni giorno riguarda le relazioni. Con il nostro team, con gli altri team coinvolti nel progetto, con i nostri clienti.
Dobbiamo prima di tutto saper gestire questo livello, sapere impostare la giusta relazione (che si riflette poi anche a livello commerciale e contrattuale), settare le giuste aspettative (anche verso noi stessi), trovare il giusto codice e tono per comunicare efficacemente.

Fatto questo passo possiamo preoccuparci di come gestire altrettanto efficacemente il nostro flusso di lavoro. Altrimenti anche il migliore approccio Lean tenderà a fallire, o ad esistere in una bolla, slegato dalla realtà.

Personalmente trovo che questo sia stato il vero punto di arrivo della serata. Siamo partiti con delle domande che non hanno trovato delle risposte, ma rivalutare il quadro più ampio ci ha insegnato a porci altre domande, forse ancora più rilevanti.

#leanux dinner

Come sempre il tempo è tiranno, si è fatto tardi e la discussione ha avuto una fine, benché avremmo tutti potuto e desiderato parlare per giorni di questi temi.
E, trovandoci in uno dei borghi più belli e caratteristici di tutta la Romagna, quale miglior conclusione di una cena tutti insieme?

#leanunxdinner

Infine, voglio dire grazie a Marianna, Ilaria, Luca, Fabio e Riccardo, a Jacopo e Davide, ad Anna, Ilaria, Luca, Andrea, Alberto, Francesco, Emanuele e Tommaso per aver reso possibile questa serata.

Ci vediamo alla prossima #leanuxnight ;)

Vuoi saperne di più?

 

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